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Il mio nome è Anne Frank
29-01-2014: Di e con Lorenzo Bassotto

Con un lungo sibilo il treno si ferma lasciando dietro di sé un’enorme nuvola di vapore.  Un ufficiale delle SS urla incomprensibili ordini in tedesco.  I portelloni si aprono e nuovi passeggeri salgono a bordo portando con loro soltanto una valigia di cartone. Destinazione: Auschwitz. Tra loro c’è lei, Anna, quindici anni.  Sono tutti stipati dentro quel vagone. Mancano l’aria, l’acqua e soprattutto il cibo. Per fare i propri bisogni c’è soltanto un secchio a disposizione.  Alcuni si voltano di spalle per cercare almeno un po’ di intimità. Anna era abituata agli spazi angusti, ma questo è davvero troppo!  L’odore è acre e l’aria irrespirabile. Dormire è davvero difficilissimo. Ora che sono diventato un gatto-angelo o un angelo-gatto, posso fare ben poco per lei. Devo accontentarmi di lavorare sui suoi sogni, o meglio sui suoi incubi, come fa un artista con la sua opera d’arte per cercare di aiutarla a ripercorrere con la mente la nostra vita passata. Ricordo perfettamente il mio arrivo a casa di Anna. Era un giorno di giugno del 1942. Il caldo  torrido mi aveva tolto ogni energia e me ne stavo acciambellato sotto la porta di una casa, aspettando che qualcuno potesse dare una svolta a quei  giorni tutti uguali. Da lontano ho visto il padre di Anna. Era un uomo alto, elegante e di gentile aspetto. Avevo intuito subito che sarebbe stato un buon padrone. Varcare la soglia di quell’appartamento a Francoforte sul Meno, è  per me una vera gioia.  Dal primo istante,  Anna e sua sorella Margot mi riempiono di cure ed affetto. I giorni trascorrono felici pieni di sole, di mare, di amici e di giochi con i compagni di scuola, fino a quando, nel luglio del 1942, il padre di Anna riceve, dalla polizia tedesca, la lettera che cambia per sempre la nostra vita.  “Il signor Otto Frank è pregato di recarsi ad Amsterdam per effettuare alcuni lavori di ampliamento della ferrovia tedesca”. Poche parole che hanno tutto il sapore di una condanna senza appello. Da quel momento, in casa, inizio a percepire una tensione che mi fa rizzare il pelo ogni ora di più, finchè, un giorno, il signor Frank, prende una decisione radicale: “Nessuno di noi lavorerà ad Amsterdam- dice- “Lasceremo la Germania, e quando arriveremo in Olanda, ci nasconderemo in un piccolo locale di due piani sopra la Opekta la mia azienda per la produzione di marmellata. Alloggeremo lì, fino a che le truppe alleate non giungeranno a liberarci”. “Nasconderci?... Dove?... Perché?...”  Avevamo capito di non avere altra scelta e così, senza por tempo di mezzo, ci siamo messi subito all’opera per organizzare al meglio la partenza. Anna  porta con sè poche cose: una spazzola per capelli, i libri di scuola e quelli per lo svago. In valigia mette anche Kitty, il suo diario, un piccolo quaderno a quadrettini bianchi e rossi ricevuto in regalo il giorno del suo tredicesimo compleanno e che, da un po’di tempo a questa parte, è  divenuto la sua amica del cuore. Io mi stendo sul divano facendo le fusa e la aspetto. Lei mi prende in braccio mi accarezza  e fa per mettermi in valigia insieme agli altri suoi tesori. Ad un tratto sente la voce della madre provenire dall’altra stanza: “Anna! Non possiamo portare via il gatto! Miagola, fa confusione, ci scoprirebbero subito!” E così, per la seconda volta, sono rimasto solo. Riesco a resistere per un po’ dentro casa mangiando avanzi e ripensando a quel meraviglioso anno trascorso insieme. Poi il mio desiderio di libertà vince anche i morsi  della fame. Salto dalla finestra e comincio a vagare per la città per catturare qualche topo, ma, ben presto, devo arrendermi al gelo della notte nazista. Da quel giorno, come tutti gli angeli che si rispettino, ho cominciato la mia missione speciale: vegliare sulla vita della piccola Anna e della sua famiglia. La vita nell’alloggio segreto non è per niente facile. La routine quotidiana è assolutamente rigida e ferrea: la mattinata è dedicata allo studio, le ore pomeridiane, invece, alle faccende domestiche. Verso le 17.30,  quando tutti gli operai della Opekta se ne sono andati, ci raduniamo tutti al piano di sotto per ascoltare Radio Londra con le sue notizie dal mondo. Le ore paiono interminabili e vi posso assicurare che non c’è giorno in cui non veniamo assaliti dal terrore di essere scoperti o traditi.  Kitty è l’unico conforto di Anna. A lei confida ogni cosa: il suo profondo affetto per il padre, i suoi rapporti difficili con la madre e la sorella e il suo tenero sentimento per Peter, un ragazzo che vive con la sua famiglia insieme a loro. Si incontrano in soffitta sul far della sera. Adoro osservare i loro fugaci scambi di sguardi e ascoltare le loro parole sussurrate.  Nessuno tra coloro che abitano nell’alloggio, vede di buon occhio il loro amore appena sbocciato, ma Anna non si scoraggia e un giorno scrive alla madre queste parole piene di rabbia e determinazione: “Mamma, tu non potrai mai togliermi la libertà! Sono grande ormai e sono completamente padrona delle mie azioni! Diventerò donna con o senza di te!” Eh sì, sta proprio diventando donna la mia Anna: i suoi pensieri si fanno sempre più raffinati,  la sua mente sempre più acuta, la sua anima sempre più accogliente ed io sono sempre più convinto che se la vita non è stata generosa con lei, lei lo sarà con la vita. All’alba del 14 agosto 1944,  il ritmo cadenzato di alcuni passi ci fa trasalire: “Fermi tutti! Mani dietro la testa! Sgomberate subito questa stanza!” Anna si precipita giù dalle scale con la valigia pronta, come rapita da un’ incontenibile felicità. “Siamo liberi!”- pensa la ragazza- “Finalmente i colori, la strada, la libertà, la luce!... La luce è quella di quel treno che porta all’inferno. Ad Auschwitz il fumo esce dai camini e gli uomini sono sagome bianche, senza volto né nome. Nella baracca vicino a quella di Anna c’è Alma Mahler, moglie di Gustav Mahler con il triste compito di dirigere l’assurda orchestrina del Terzo Reich. Anna è stanca, smagrita. La sua testa è rasata a zero. Ormai posso riconoscere soltanto i suoi grandi e penetranti occhi scuri. La sera trema convulsamente mentre il freddo penetra nel suo corpo esile e sfinito. Poi, una notte, sotto la candida luna, Anna non trema più. È tranquillissima e qualcuno, giura, addirittura, di averla vista volare via.  Di lei, ora, resta soltanto quel piccolo fiore della vita che spunta, timido e ostinato, nel grigio della morte…     
In occasione della giornata della memoria, nell’ambito della rassegna “Teatro Scuola”, Lorenzo Bassotto e Frediano Sessi (uno dei massimi esperti della figura di Anna Frank a livello europeo), rendono omaggio alla giovane donna che ha saputo denunciare con forza e coraggio le atrocità di una delle pagine più buie della nostra storia, attraverso un intenso e toccante monologo nato da una paziente ed appassionata rilettura dei suoi diari.   Uno spettacolo in cui il delicato accompagnamento musicale si fonde con le immagini che, come disegni a carboncino, sembrano prendere vita da un antico libro di favole e dove la scrittura rimane l’unica fonte di speranza, e di liberazione, poiché come testimonia la stessa Anna: “La carta è più paziente degli uomini”.

E. T.

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